martedì 28 febbraio 2012

Dio ti vede, Stalin no!


Tra gli slogan politici della storia italiana, questo per me non ha rivali: “Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!”. Semplicemente geniale. Penso alle mille confabulazioni degli strateghi della comunicazione della Democrazia Cristiana, in un’epoca di feroce competizione elettorale con il Partito Comunista, di propaganda senza esclusione di colpi. 

Cosa inventarsi di davvero convincente? Che arma mediatica letale utilizzare per spostare il consenso popolare? Una decisiva mano la diede, nella mitica campagna elettorale del 1948, la fervida, sarcastica inventiva di Giovannino Guareschi, con quello che a mio avviso rimane tuttora il più potente, straordinario e persuasivo slogan. Una vignetta arguta nella quale emerge il Guareschi militante: profonda fede cattolica e fervente anticomunismo. 

Guareschi
Abbandonare la sfera del confronto terreno e buttarla sul trascendente. Sottrarre una replica razionale al nemico politico. Solleticare provocatoriamente il sentimento religioso. In qualche modo anche incutere il terrore dell’occhio del Padre severo che vigila sulle azioni dei propri figli.

Su, allora? Caro compagno, vuoi forse contestare che Stalin possa vedere per chi stai votando dentro la cabina elettorale? I timorati di Dio, caro comunista, sono roba mia. Nessuna speranza per te. Oddio, la replica atea sarebbe stata semplice, ovviamente. “Dio ti vede? Ma Dio non c’è, di cosa stiamo parlando?”. I risultati elettorali premiarono comunque, nettamente, la massiccia campagna di cartelloni murali della Democrazia Cristiana, che puntavano su poche parole e immagini evocative

Una campagna essenzialmente emozionale, contrapposta alle scelte comunicative più orientate alla razionalità del Fronte Democratico Popolare (PCI e Partito Socialista Italiano), che uscì dalle urne con le ossa rotte.

E però – al di là del merito – quanta passione, quanta creatività e quanta densità trasuda questo slogan. Che potenza di fuoco, degna di una delle epoche più vivaci della storia politica. Un’Italia ferita dalla guerra e alla ricerca della propria identità, al bivio della scelta assoluta. Con l’amletico dubbio di dove collocarsi: o di qua o di là. 

C’è nella storia recente uno slogan di un partito italiano altrettanto efficace? Ci penserò, ma di primo acchito non mi viene in mente proprio niente.

lunedì 27 febbraio 2012

La gaffe del gas


All’inizio, quand’ero un imberbe e ingenuo cronista di paese, pensavo fosse una buffa beffa. Un refuso goffo, clamoroso, greve. Capitava un problema con il gas in un’abitazione e – immancabile – scattava il patatrac giornalistico. La fuga diventava figa. Sì, proprio così. Una delle notizie più diffuse nelle cronache di provincia diventava occasione d’orrido errore che suscitava risate grasse, commenti maliziosi, rossori di colleghi. La prima volta, passi. Successe una seconda volta, dopo pochi mesi. Prima il Carlino, poi la Gazzetta. Erano i primi anni Novanta. Poi sono cresciuto e ho conosciuto altri tipi di obbrobri che popolano il mondo della comunicazione.  

Ma pochi giorni or sono, al corso di web 2.0 del Cerform a Sassuolo, parlando con alcuni simpatici colleghi, si è rinverdito il fanciullesco ricordo. Quindi che fare se non googlare “fighe di gas” e vedere l’effetto che fa? Boom di risultati. Provare per credere.  
Allora è tutto come allora. Evviva! Come allora, peggio di allora. Perché il web è pieno di giornali, siti di agenzie immobiliari, assicurazioni. Mi chiedo: il refuso sulla carta stampata è irrimediabile. Ma sul web, diamine, correggetelo!


La congrega della “fighe di gas” è evidentemente subdola e convinta, non si fa fermare dai progressi tecnologici. Resiste e si diffonde. Cosa li muove? L’associazione misogina donna = gas, cioè pericolo? Il pensiero fisso del maschio medio che trova sfogo a ogni fuga (di gas)? La speranza che una tragedia si tramuti in opportunità? Io in fondo mi accorgo che ci sono affezionato, alle fighe di gas. 

Non mi è mai capitato il privilegio di incappare nello sconcio refuso, ma ecco, con questo post penso di aver rimediato: viva viva le fighe di gas.

domenica 26 febbraio 2012

Parlare padano

Il convegno "Oltre il distretto"
La Padania è entrata in noi? Sembrerebbe di sì. Questa è una vittoria straordinaria della propaganda leghista. La comunicazione, in politica soprattutto, è contenuto. Non sono solo parole, è sostanza. Chi parla di Padania - convinto o meno della plausibilità del concetto - sta facendo proselitismo politico. Evocare questo termine significa fare quadrato con un elettorato ricco e impaurito (dalla crisi, dal diverso, dalle proprie endemiche insicurezze esistenziali) e alzare medievali mura protettive. Significa parlare alla pancia di cittadini turbati e disorientati, ipotizzando evoluzioni del mondo e della società arcaiche e, secondo me, anche stupide. 

Padania, basta la parola per richiamare il frame, che poi si declina in una serie di pazzesche conseguenze: diffidenza e preconcetti verso i meridionali, razzismo emergente, malcelato odio nei confronti di migranti e minoranze in genere e tutto il resto del ruspante (nei modi) e aggressivo (nelle soluzioni) armamentario leghista. 

Quindi, siccome la politica si gioca sul terreno della rappresentazione più ancora che sulla realtà, massima attenzione alle parole chiave utilizzate. Non è facile, e anche politici di primissimo piano cadono in errore. E’ il caso del vice-segretario del Partito Democratico Enrico Letta, intervenuto ieri a un convegno sul futuro del distretto ceramico a Sassuolo. Nel bel mezzo di un efficace intervento sulle priorità del Pd nel campo delle politiche industriali, ecco un accenno alle infrastrutture e agli aeroporti che, nel Nord Italia, sono troppi e mal organizzati lasciando così campo libero ai grandi hub europei. “C’è una parte del paese dove vivono 22 milioni di europei ricchi, quella che qualcuno chiama Padania”, ha esordito Letta. Male. Poi, nello sviluppo del discorso, trascinato dalla foga, ha semplicemente definito di nuovo il Nord Italia, pur con un cenno di disappunto, Padania. Malissimo. Se usi le parole dell'avversario, rafforzi i suoi concetti. Persino se le critichi. Su questo non c’è dubbio. 

E se nel proseguire l’intervento Letta definisce con naturalezza l’attuale legge elettorale da cambiare “Porcellum”, ci risiamo. Ci mancano solo i fucili spesso evocati da Bossi, Roma Ladrona, le corna e il dito medio alzato, magari anche un po’ di Bunga Bunga, e il cocktail è servito. 

Dimentichiamoci il linguaggio della destra berlusconiana, aboliamo parole che richiamano la loro visione del mondo, rifiutiamo questo predominio linguistico, specchio di un predominio culturale. Creiamo la nostra realtà, il nostro futuro e il nostro linguaggio.  I giornali usano termini coniati dall’avversario politico? Certo, perché sono gli unici che tutti utilizzano. Introduciamo altri termini che rappresentino la nostra identità, i nostri valori. I media saranno costretti a seguirci.

Note a margine. La mia - recente - mania per i frame è tutta colpa del linguista statunitense George Lakoff (autore del libro “Non pensare all’elefante”) e di colei che me lo ha fatto conoscere, la mia amica Simona Lembi.

giovedì 23 febbraio 2012

Questione di Fiore

Non voglio apparire troppo egocentrico sin dai primi post. Ma sono assai perplesso sul fatto che lo slogan "Vota Fiore, cogli un'opportunità", oltre a far sorridere, possa anche funzionare. E l'assonanza tra il cognome del candidato e il mio mi inquieta. Ecco di chi parlo: Michele Fiore, 34 anni, candidato alle primarie del centrosinistra per fare il sindaco a Lerici, in Liguria. Primarie con quattro rivali (tre del Pd) in programma proprio questa domenica, 26 febbraio.

Sostiene Fiore.
Comunità, turismo, giovani e impresa sono per noi alcune della parole chiave da cui ripartire per il rilancio di Lerici.

E spiega. 
Lerici ha immenso bisogno di caratterizzarsi, facendosi “prodotto” turistico, investendo sul turismo “lento” e consapevole, sul tipico, sul locale, valorizzando la sua storia, la sua cultura e le sue tradizioni per conquistare nuovi segmenti di mercato: il fatto che Lerici, ancora una volta, non sia presente alla BIT (Borsa Italiana del Turismo), unico Comune turistico della nostra provincia, è l’esempio più lampante di come, ad oggi, quel “prodotto” non esista ancora.

Michele Fiore
Idee chiare e semplici, volto fresco e politicamente accattivante (anche se la foto a fianco, in verità, non gli rende onore), ha incassato pure l'endorsement dell'emergente dirigente Pd Pippo Civati.

Ma lo slogan, lo slogan proprio no, non ci siamo. "Cogli un'opportunità" è semplicemente agghiacciante, specie se abbinato al cognome del candidato. Verrebbe da rispondere: anche no. Ricordatemi di non ricordarmene, qualora mai nella vita mi candidassi a qualcosa. "Porta Fiori nella cabina elettorale". "Fiori e non opere di bene". "Metti Fiori nella tua città", "Fiori per te". Come si evince, meglio evitare. Poi, scritto da uno che chiama il suo blog "Mazzi di Fiori", ecco, magari perde di credibilità. Non so, forse potevo tacere, ma non ce l'ho fatta.

E comunque giocare col proprio cognome è pericoloso. Chi non ricorda la campagna dello sciagurato sindaco lampo di Bologna, Flavio Delbono? C'è Delbono a Bologna ha fatto la fortuna, soprattutto, della campagna di sfottò post dimissioni e guai giudiziari messa in campo dal Pdl per le Regionali dell'anno successivo. 

Lo slogan di Delbono (2009)
La presa in giro del Pdl (2010)
Marco vota: slogan neutri, ironici e che magari facciano sognare. Lasciam perdere i cognomi, per carità.

martedì 21 febbraio 2012

Meglio tanti ma buoni


Sondaggio Tg La7 di lunedì 20 febbraio 2012
Altroché vocazione maggioritaria di Veltroni. Restiamo pochi, pochissimi, ma almeno buoni. Mentre Monti affascina con il suo sobrio pragmatismo conservatore, mentre oltre metà dell’elettorato non ne vuol più sapere dei partiti, Pdl e Pd giocano ancora a farsi i dispetti. 

Ultimo esempio. Le (deliranti) dichiarazioni dell'esponente del Pdl Carlo Giovanardi sul bacio lesbico, che per il senatore modenese è fastidioso quando vedere qualcuno che urina in pubblico. A mio avviso, siamo alla follia. 

In realtà Giovanardi non è certo un pazzo. Parla alla sua gente, usa frame di destra, coltiva un elettorato bigotto e perbenista che, come lui, guarda con occhio malevolo al mondo omosessuale. Ma l'obiettivo vero è un altro. Giovanardi spara la provocazione per spostare l'attenzione e raggiungere il suo fine politico: proteggere la famiglia cattolica tradizionale e negare ogni forma di diritto civile agli omosessuali. Non lo dice ma lo fa. Il contrario della sinistra, che spesso dice ma non fa. I bravi, volenterosi e svegli ragazzi della GD di Modena (la giovanile del Partito Democratico) hanno prontamente reagito organizzando una limonata collettiva in piazza Matteotti contro Giovanardi. 

Modena, 19 febbraio 2012
Secondo me, politicamente, hanno commesso un errore. Mi spiego. L'omofobia va ovviamente contrastata a tutti i livelli e con ogni mezzo, per carità. E in questo senso la manifestazione è stata un successo: colorata e divertente, partecipata e plurale. Ma credo che palloncini e fotomontaggi goliardici, bacetti e slogan, siano purtroppo strumenti inefficaci.

Perché a una provocazione non si risponde con una provocazione. Perché la sinistra non deve parlare il linguaggio populista e mistificatore della destra. Perché il tema vero sono i diritti negati (cosa fa davvero il Pd a livello nazionale?) e non che a qualcuno possa dare noia o meno vedere un bacio lesbo in strada. Peraltro mentre i diritti non ci sono, oggi si può serenamente baciare chicchessia in pubblico senza incorrere in alcun problema. Lottiamo quindi per obiettivi politici veri, senza farci gettare fumo negli occhi.

Lottiamo PER e mai CONTRO. 

Un bacio contro, 19 febbraio 2012
E poi rimango convinto che questi eventi non convincono uno, uno solo, degli elettori che oggi non voterebbero centrosinistra. Usiamo frame nuovi, nostri. Dettiamo noi l'agenda politica, non inseguendo gli altri. Spieghiamo con passione e ragione le nostre idee. Cerchiamo di coinvolgere e aprire la mente anche a chi non la pensa come noi (accettando il fatto di non poter convincere tutti), e non rinchiudiamoci dentro rassicuranti steccati a sventolare bandierine, darci pacche sulle spalle, crogiolarci nella certezza che, siccome abbiamo ragione, anche se siamo in pochi poco conta. “Meglio pochi ma buoni”, in democrazia, non funziona.

Cosa avrei fatto io nei panni dei Giovani Democratici (e del Pd)? Innanzitutto liquidare Giovanardi con un comunicato secco e sintetico di censura, poi farlo inghiottire dall’oblio mediatico. Aspettare. Promuovere con calma, magari il 21 marzo, una giornata denominata “La primavera dei diritti” nella quale, con palloncini e canzoni, attori e ironia, in un clima disteso e propositivo, raccogliendo spunti e proposte dei cittadini e delle Associazioni, si lanciasse una seria proposta di legge o un'iniziativa concreta su uno dei temi cari al mondo LGBT.

(Come si evince da questo mio primo post, io mi riconosco senza alcun indugio nel centrosinistra. Per questo mi dispiaccio e accaloro di più quando la mia parte politica fa, a mio avviso, errori strategici o di comunicazione)