domenica 26 febbraio 2012

Parlare padano

Il convegno "Oltre il distretto"
La Padania è entrata in noi? Sembrerebbe di sì. Questa è una vittoria straordinaria della propaganda leghista. La comunicazione, in politica soprattutto, è contenuto. Non sono solo parole, è sostanza. Chi parla di Padania - convinto o meno della plausibilità del concetto - sta facendo proselitismo politico. Evocare questo termine significa fare quadrato con un elettorato ricco e impaurito (dalla crisi, dal diverso, dalle proprie endemiche insicurezze esistenziali) e alzare medievali mura protettive. Significa parlare alla pancia di cittadini turbati e disorientati, ipotizzando evoluzioni del mondo e della società arcaiche e, secondo me, anche stupide. 

Padania, basta la parola per richiamare il frame, che poi si declina in una serie di pazzesche conseguenze: diffidenza e preconcetti verso i meridionali, razzismo emergente, malcelato odio nei confronti di migranti e minoranze in genere e tutto il resto del ruspante (nei modi) e aggressivo (nelle soluzioni) armamentario leghista. 

Quindi, siccome la politica si gioca sul terreno della rappresentazione più ancora che sulla realtà, massima attenzione alle parole chiave utilizzate. Non è facile, e anche politici di primissimo piano cadono in errore. E’ il caso del vice-segretario del Partito Democratico Enrico Letta, intervenuto ieri a un convegno sul futuro del distretto ceramico a Sassuolo. Nel bel mezzo di un efficace intervento sulle priorità del Pd nel campo delle politiche industriali, ecco un accenno alle infrastrutture e agli aeroporti che, nel Nord Italia, sono troppi e mal organizzati lasciando così campo libero ai grandi hub europei. “C’è una parte del paese dove vivono 22 milioni di europei ricchi, quella che qualcuno chiama Padania”, ha esordito Letta. Male. Poi, nello sviluppo del discorso, trascinato dalla foga, ha semplicemente definito di nuovo il Nord Italia, pur con un cenno di disappunto, Padania. Malissimo. Se usi le parole dell'avversario, rafforzi i suoi concetti. Persino se le critichi. Su questo non c’è dubbio. 

E se nel proseguire l’intervento Letta definisce con naturalezza l’attuale legge elettorale da cambiare “Porcellum”, ci risiamo. Ci mancano solo i fucili spesso evocati da Bossi, Roma Ladrona, le corna e il dito medio alzato, magari anche un po’ di Bunga Bunga, e il cocktail è servito. 

Dimentichiamoci il linguaggio della destra berlusconiana, aboliamo parole che richiamano la loro visione del mondo, rifiutiamo questo predominio linguistico, specchio di un predominio culturale. Creiamo la nostra realtà, il nostro futuro e il nostro linguaggio.  I giornali usano termini coniati dall’avversario politico? Certo, perché sono gli unici che tutti utilizzano. Introduciamo altri termini che rappresentino la nostra identità, i nostri valori. I media saranno costretti a seguirci.

Note a margine. La mia - recente - mania per i frame è tutta colpa del linguista statunitense George Lakoff (autore del libro “Non pensare all’elefante”) e di colei che me lo ha fatto conoscere, la mia amica Simona Lembi.

2 commenti:

  1. Tra l'altro anche lo stesso Enrico Letta, via Twitter, mi ha scritto questo commento: "Touché... Hai ragione!". Son soddisfazioni!

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